Continua la battaglia legal-linguistica tra Microsoft ed Apple per ottenere dal governo USA il diritto di usare in esclusiva il marchio “App Store” rivendicandolo come proprio. Diatriba stucchevole e piuttosto noiosa se non fosse per l’enorme peso economico che avrà la decisione dell’IUfficio Brevetti americano.
E questa volta, sia per il colosso di Mountain View che per quello di Cupertino gli esperti non sono dei geni dell’informatica ma degli illustri linguisti.
Martedì 29 marzo Microsoft ha presentato l’ennesimo documento all’US Patent and Trademark (l’Ufficio Brevetti statunitense) redatto da un esperto di linguistica, nel quale si sostiene che il termine App Store sia un termine generico e che di conseguenza non possa essere considerato come un marchio depositato e registrato da Apple.
Queste le parole di Ronal Butters:
“The compound noun app store means simply ‘store at which apps are offered for sale,” … ” which is merely a definition of the thing itself — a generic characterization,”
Il termine composto App Store significa semplicemente negozio dove si vendono applicazioni … che è solo una definizione della cosa in sé, una caratterizzazione generica.
In precedenza il celebre linguista Robert Leonard, assoldato da Apple, aveva invece affermato che il termine App Store, seppur nome composto costituito da termini generici, poteva essere considerato alla stregua di un vero e proprio marchio di fabbrica, quindi di proprietà di Apple medesima che per prima aveva registrato il nome.
Che dire? L’ennesima battaglia, nemmeno tanto piccola seppur (ne convengo) a tratti ridicola, della decennale guerra tra Bill e Steve.
Una curiosità: Leonard, l’esperto pro-Apple, sarebbe stato pagato 350 dollari all’ora, mentre Butters, pagato da Microsoft, ne avrebbe richiesti 400.
Ecco chi ci guadagna in queste diatribe! 😉