A fine aprile vi avevamo dato la notizia della scomparsa di Max Mathews, l’inventore della musica sul computer. Notizia che non ha avuto alcun spazio nei media nazionali: una scomparsa anonima. Oggi vogliamo invece rendere omaggio a uno degli uomini che ha fatto la storia moderna, rimanendo però dietro le quinte del palcoscenico. La sua storia inizia nel 1957, quando laureato da poco in ingegneria, ebbe modo di lavorare nel laboratori della Bell su un computer mainframe IBM. Siamo nella preistoria dell’era informatica ed elettronica.
La genialità di questo scienziato fu quella di scrivere un software che permetteva ad un computer di allora l’esecuzione di una breve composizione musicale. Quei soli 17 secondi di musica passeranno alla storia: fu così dimostrato che era possibile digitalizzare la musica.
Mathews non è stato in assoluto il primo ad eseguire della musica “sintetizzata”, ma il primo a scrivere un software che permetteva di replicare quell’audio, sfruttando la combinazione hardware e software.
La rivoluzione era cominciata.
Oggi per tutti noi ascoltare musica su un qualsiasi apparecchio elettronico è una delle routine quotidiane e ci pare al quanto banale e scontata come funzione. Qualsiasi musicista compone, registra, ascolta ed esegue musica su un computer. A tal punto che ormai è possibile suonare una batteria, ad esempio, utilizzando due bacchette vere, ed uno strumento virtuale a video (anche questa è di Mathews).
La registrazione audio è stata inventata da Edison nel 1870 (il fonografo), dando così di fatto il via ufficiale a questo straordinario mondo della musica riproducibile.
Mathews è stato il pioniere che ha intuito immediatamente quanto la digitalizzazione di un audio potesse essere uno degli usi più diffusi ed essenziali del computer. Ed averlo capito negli anni ’50 quando i risultati erano qualitativamente disastrosi, ci dà l’idea della lungimiranza di quest’uomo. Solo il genio di uomini come Mathews possono capire e vedere così avanti, arrivando a realizzare l’impossibile.
Come ingegnere Max Mathews aveva interessi estremamente diversi, che ha seguito con passione e molta energia. Era un entusiasta violinista e sentì il bisogno di colmare questo hobby con la realizzazione di violini elettronici. Il controller gestuale introdotto dalla Nintendo, è derivato dal Baton Radio, che Mathews ha progettato per comandare con due bacchette reali una intera orchestra virtuale. Il controller gestuale è quindi una delle sue invenzione.
Marvin Minsky, uno dei pioniere nel campo dell’intelligenza artificiale e uno dei compagni di avventura di Mathews, ha detto: “Max concepiva per primo l’idea, poi la realizzava e quindi passava alla successiva intuizione geniale, lasciando una miniera di idee ed informazioni ai colleghi, ricercatori, studiosi e studenti, per proseguire nello sviluppo completo di quello che lui aveva intuito nelle sue visioni”.
Toccava quindi ad altre menti brillanti il compito di proseguire sulla strada da lui aperta e completare quanto iniziato da Mathews.
Il lavoro del brillante dell’ingegnere del Nebraska era segnato dalla conoscenza di un percorso profondo della cognizione umana, informatica, acustica e dalla convinzione che i computer potevano aiutare gli uomini a far musica, e non il contrario.
Già nel 1957, quando nulla di queste idee era concepibile da tutti gli altri, Rebecca Fiebrink, professore di informatica di Princeton, disse di Mathews: “Max ha avuto questa visione del computer come qualcosa di creativo che aiuta la gente”.
Mathews ha sicuramente avuto la fortuna di trovarsi sognatore in mezzo ad un ambiente ricettivo e dinamico: quello dei laboratori di ricerca della Bell, pieno di giovani colleghi pronti a cogliere queste idee da “pazzi e senza alcun senso”.
In Italia avremmo licenziato subito un giovane visionario e oggi un Max Mathews lavorerebbe al massimo con un contratto da precario in un call center (che sappiamo essere pieni di giovani diplomati e laureati, senza essere però utilizzati nelle loro straordinarie potenzialità).
Le ricerche di Mathews ottennero subito l’attenzione delle compagnie telefoniche, perché le telecomunicazioni stavano diventando strategiche nella Società post guerra mondiale. La fusione tra hardware, software e telecomunicazione era diventata inevitabile. Mathews cominciò subito a lavorare sulla possibilità per i computer di parlare e ascoltare. Ricerche che porteranno nel 1963 alla pubblicazione sulla rivista scientifica per eccellenza, Science, con l’articolo “Il computer digitale come strumento musicale“. Nell’articolo si spiegava come utilizzare il linguaggio da lui creato, ovvero con due serie di istruzioni. In primo luogo lo strumento definiva il tipo di suono, come forma d’onda, curva e ampiezza e come tutti questi dovevano essere connessi fra di loro. La seconda istruzione conteneva le note musicali, il ritmo e la durata che lo strumento musicale doveva eseguire. Questa semplice distinzione concettuale tra strumento e le azioni da compiere per fare musica è ancora la regola di oggi. L’articolo terminava con l’intervento di due giovani pionieri della musica computerizzata, John Chowning e Jean-Claude Risset.
Il francese ricorderà sempre in pubblico quanto generoso fosse Mathews e quanto condividesse le sue conoscenze con tutti i collaboratori: “A quel tempo i laboratori della Bell erano quasi come pubblici, e si aveva davvero la sensazione che tutte le ricerche finivano poi a disposizione dell’intera comunità”.
Chowning dovette imparare a programmare un computer senza averne mai visto nessuno e i suoi studi a Stanford sui suoni elettronici lo portarono poi a lavorare con Mathews.
La parola e la sintesi vocale erano diventati per Max Mathews di primo interesse. Lo scrittore Arthur C. Clarke nel 1960 visitò i laboratori della Bell e fu colpito dal sintetizzatore vocoder, sviluppato da John Kelly, che poteva cantare “Daisy Bell, a bicycle for two” grazie al software di Max Mathews. Lo scrittore fu colpito così tanto da inserire quell’esperienza così futuristica nel suo romanzo di fantascienza “2001: Odissea nello spazio”. Evento che sarà riportato fedelmente nel capolavoro di Kubrik del 1968, quando il computer HAL 9000 si mette a cantare proprio quella canzone !
Nei primi anni ’70, l’Acustic and Behavioral Research Center della Bell (il laboratorio di Mathews), stava facendo ricerche su ogni possibile aspetto del suono. Si voleva arrivare a fornire la migliore assistenza nel servizio telefonico degli americani. I computer diventavano più potenti ed era quindi possibile realizzare nuove grandi idee. Il progetto GROOVE, ad esempio, prevedeva il controllo di un computer con un sintetizzatore analogico.
Laurie Spiegel, esperta in composizioni con sintetizzatori analogici, volle collaborare con Mathews appena venne a conoscenza del progetto GROOVE: “Essere una donna senza credenziali tecnologiche non mi avrebbe mai permesso l’ingresso in nessun laboratorio importante e con i mezzi come quelli della Bell, ma Max non ne tenne conto e intuì le mie potenzialità. Per lui ogni esperienza individuale aveva un valore unico. Ebbe inizio così un’amicizia che durò per oltre 30 anni. E come tutte le frequentazioni, capitava di perdersi per un po’ di tempo, ma quando ci ritrovavamo si riprendeva sempre a discutere da dove avevamo interrotto la volta precedente, questo era Max !”.
Negli anni ’80 Mathews ha continuato a sviluppare software sempre migliore. Le sue ricerche sono culminate con il Baton Radio (il controller tridimensionale), con una serie di software da cui poi hanno sviluppato Guitar Hero e Rock Band. Software che in qualche modo ognuno di noi ha avuto modo di usare direttamente (magari giocando alla Wii) oppure indirettamente con il computer.
Dal 1987, anno del suo pensionamento, Max Mathews ha cominciato a insegnare alla Stanford University. Fino agli ultimi giorni di vita Mathews ha continuato a lavorare incessantemente a qualche progetto. Richard Boulanger, che ha lavorato con Mathews alla realizzazione del Baton Radio, ha detto: “Anche negli ultimi giorni, Max ha continuato con l’energia di sempre ad apprendere, insegnare, scrivere e rivedere i suoi stessi lavori”.
La storia della musica è la storia della tecnologia.
Max Mathews può essere ritenuto tranquillamente un artista geniale, tra scienza e arte. Lui ha voluto vivere e lavorare senza troppe pretese. Nessun capriccio da rock star. Nessun eccesso in vita. Il suo mondo era quello astratto che trasporta la mente altrove, in quel luogo dove i sogni sono veri e dove solo il coraggio di credere nelle proprie idee porta alla loro realizzazione. I sogni, per gente come Mathews, sono reali quanto il mondo che circonda tutti noi: scrivere o leggere questo articolo ascoltando un po’ di musica ci ricorda quanto Mathews sia vivo nelle sue invenzioni e ci permette di avere un contatto reale con quel mondo dove ha vissuto Max Mathews e dove, ancora in questo momento, lui continua a suonare, inventando sempre qualcosa di nuovo.
Mi piace ricordare così lo Stradivari dei computer.
Fonte: Internet, NYT, Wikipedia