Apple e l’innovazione: la Mela come spartiacque tra il passato ed il futuro nel mondo della tecnologia

Abbiamo deciso di anticipare in testa all’articolo quella che logicamente sarebbe stata meglio come la sua conclusione, per dirvi che ciò che vi apprestate a leggere è -come dicono quelli veri- il classico articolo che divide. Leggendolo qualcuno di voi si scaglierà prontamente contro i soliti fanboy (a dire la verità, almeno per chi scrive, l’accusa non é del tutto infondata n.d.r.) ed altri apprezzeranno invece un excursus nella storia di Apple e le nostre riflessioni ispirate da un articolo pubblicato qualche tempo fa su Cult Of Mac. Il tema è semplice: Apple, nel mondo della Information Technology, è stata sovente un vero e proprio ponte tra il passato ed il futuro; ed in più settori dell’industria tecnologica ha già rappresentato il salto di qualità -o meglio ancora- ha lanciato il balzo verso il domani. Insomma, in diversi settori della tecnologia, Apple è ciò che si colloca tra un prima ed il dopo. Continuate a leggere per vedere come nasce questa (non solo) nostra affermazione.

Cominciamo, dopo aver visto l’evoluzione del logo (che nella sua prima versione sembrava più che altro l’etichetta di uno sciroppo per la tosse), da quest’altra bella immagine:

A sinistra abbiamo l’Altair 8800, il primo computer a poter essere considerato un PC (nel senso di Personal Computer), non quindi uno di quei mega-calcolatori che si trovavano nelle grandi università e nei più importanti laboratori di ricerca ma il primo computer dotato di un solo microprocessore; apparve nel 1975 e diede di fatto il via all’età dei PC. Poco tempo dopo, Jobs e Wozniak assemblarono il loro Apple I, ma è nel 1979 che, con l’Apple II, la casa di Cupertino lancia il primo PC in grado di funzionare appena tolto dalla scatola, dotato di funzioni utili alla gente comune e pensato per la prima volta non per essere utilizzato da ingegneri o tecnici del settore ma per l’uomo comune e per usi non necessariamente professionali. Ed Apple II fu unanimemente considerato il primo vero computer consumer, cui -in ordine cronologico- fece seguito nel 1980 il Commodore VIC-20 e poi, dopo altri due anni il Commodore 64 (il primo PC di chi vi scrive) fino al Commodore Amiga.

Andando avanti con la nostra disamina, cosa possiamo dire di quest’altra eloquente immagine?

È altrettanto innegabile che, dopo i primi sistemi operativi caratterizzati dal cursore lampeggiante di DOS (che fa tanto preistoria) l’interfaccia moderna, sostanzialmente la stessa che usiamo tutt’oggi dopo trent’anni di evoluzione, deve davvero molto al primo Macintosh OS.
Con i primi PC, non potendo rivolgersi a loro direttamente in inglese corrente, venivano utilizzati linguaggi “semplificati” -rispetto ad un lingua vera e propria- che se da un lato potevano essere compresi dalle nuove macchine dall’altro costringevano l’utenza ad uno sforzo di apprendimento per il quale non tutti erano ovviamente disponibili, limitando quindi moltissimo la diffusione di questi primi PC tra la gente comune, lavoratori e studenti; fu proprio la Apple, con il Macintosh OS, ad ideare il primo desktop con la prima finestra, ovvero quell’insieme di spazi virtuali riempiti di simboli che erano (e sono) selezionabili mediante un puntatore, a sua volta guidato da una piccola macchinetta che somigliava tanto ad un topino con una lunga coda. L’interazione con la macchina divetava quindi semplicissima e soprattutto alla portata anche di chi era completamente privo di conoscenze di informatica.
Certo, letto adesso è di una banalità addirittura sconcertante, ma proviamo ad immaginare lo stupore del primo a cui Jobs e Wozniak hanno concesso di “aprire una cartella” facendo un clic col mouse… Ora questa interfaccia è assoluta normalità ma anche in questo caso Apple si colloca esattamente tra il prima ed il dopo.

E dopo aver visto gli albori di hardware e software non possiamo non considerare il design. Pensiamo in particolare al primo PC all-in-one che è stato il famosissimo iMac G3; comparso nel 1998 ha dato il via ad una tradizione che in casa Apple continua tutt’ora e che nel settore consumer sembra avere sempre più diffusione anche tra le altre marche. Certo, questa scelta non è mai stata esente da critiche e sarà capitato a molti di sentirsi dire frasi come: il brutto di un Mac è che non ci puoi mettere le mani dentro.
D’altro canto la filososofia di Jobs è sempre stata quella di offrire un prodotto che richiedesse poca impostazione in fase iniziale e che fosse immediatamente utilizzabile una volta acquistato. Certo, i tower PC non sono scomparsi (e la stessa Apple continua a produrre e commercializzare i Mac Pro) ma sembrano destinati a diventare sempre più un prodotto di nicchia, di fronte ad una utenza che cerca con interesse crescente anche la bellezza, il design, la semplicità e (soprattutto) desidera che il proprio PC funzioni e faccia bene quello che deve fare (e se state pensando una cosa tipo “ma che banalità!” è evidente che avete sempre avuto un Mac).
E poi, ultimo ma probabilmente più importante, il fatto che questo genere di PC permettono al produttore un maggior controllo su ogni singolo componente che li costituisce, fatto che offre una certa tranquillità (anche se non una certezza assoluta) sul corretto funzionamento e sull’affidabilità della macchina.

Venendo ai notebook, anche in questo caso pare proprio rilevarsi un ruolo preminente di Apple nell’evoluzione che ha avuto questo tipo di macchine.
Probabilmente qualcuno di voi ricorderà, per averne posseduto uno, come erano i Computer portatili un tempo: grossi, ingombranti, degli scomodi plasticoni con la tendenza a surriscaldarsi e -ben peggio!- a rompersi, scheggiarsi. In questo contesto Apple presenta per prima i suoi MacBook unibody caratterizzati dall’essere prodotti da un singolo blocco di alluminio modellato e lavorato, cosa che conferiva una maggiore resistenza agli urti ed al surriscaldamento oltre ad una leggerezza mai vista prima. Ma probabilmente l’innovazione di questi MacBook non stava nella tecnologia quanto nel design, opera geniale del geniale Jonathan Ive.
Si conferma insomma l’attenzione che da sempre Cupertino ha dedicato non solo alla tecnologia, al software ed all’hardware ma anche al design, tanto da fare dei Mac i computer di moda, addirittura oggetti quasi di culto. E lentamente, dopo una lunga fase in cui i PC erano racchiusi in gusci brutti e poco o male curati, l’attenzione all’estetica ed al design sta contagiando tutti i più importanti produttori.

Ma lasciamo per un attimo il settore hardware e guardiamo di nuovo al software, in particolare all’applicazione per PC (siano essi Mac o Win) probabilmente più diffusa e conosciuta tra quelle di Apple: iTunes.
Poco più di dieci anni fa, chi voleva acquistare musica doveva rivolgersi ai negozi di dischi e portarsi a casa un vinile, una musicassetta o al massimo un moderno CD. Ma su internet già impazzava Napster che, permettendo la condivisione tra i suoi utenti di musica in formato mp3, stava creando una voragine di miliardi di dollari nelle finanze delle grandi etichette discografiche; probabilmente proprio questa situazione, che non è esagerato definire drammatica, ha fatto sì che quando Steve Jobs si è presentato con il progetto di vendere musica online a 0,99 dollari per ogni singolo brano, le etichette discografiche hanno accolto a braccia aperte questa soluzione vista -a ragione- come l’unica in grado di salvare almeno in parte i loro affari.
In questo contesto iTunes è stato (e probabilmente è ancora) un software importante, di fatto privo di veri e propri concorrenti, sicuramente anche grazie all’interazione con gli iDevices. E se è vero che i servizi basati sullo streaming come Spotify o lo stesso iCloud sembrano destinati a ridurne in futuro l’importanza, è innegabile che iTunes abbia segnato un passaggio di era non solo nell’industria della information technology ma anche e soprattutto in quella della musica.

Ma tornando all’hardware non possiamo non fare una menzione ai netbook; probabilmente ricorderete i primi tempi in cui questi piccoli computer portatili dotati di buone batterie e basso prezzo (ma prestazioni pessime!) sembravano destinati a conquistare il mercato, tanto che in molti erano convinti che anche Apple si sarebbe abbassata a produrre portatili di basso prezzo e soprattutto con una qualità per forza di cose non in linea con i prodotti generalmente offerti dalla casa di Cupertino.
Oggi sappiamo che la risposta d Apple è stata ben diversa e, come sempre, sorprendente. Il lancio di iPad da una parte e dei MacBook Air dall’altra hanno di fatto decretato la morte, dopo pochi anni dalla loro comparsa, di questa categoria di portatili che infatti già oggi appaiono vecchieggianti e buffi giocattoli.
Difficile dire se il “modello MacBook Air” sia o meno destinato a sostituire i più tradizionali Notebook, ma è fin troppo chiaro che questo genere di PC è un cavallo su cui molti produttori stanno cominciando a scommettere.

Se nei casi precedenti ci sono obiettivamente pochi dubbi rispetto al ruolo di Apple come volano dell’innovazione in tecnologia, quando prendiamo in considerazione iPhone troviamo una sola, unica grande certezza. Prima del Melafonino infatti c’erano i palmari basati quasi esclusivamente su Windows Mobile e se qualcuno di voi ha avuto modo di provarli ricorderà i pennini, il touch screen che rispondeva una volta sì è l’altra no, i crash… Insomma erano oggetti che facevano poche cose e anche quelle poche le facevano male. È stata Apple a fondere per prima un telefono cellulare con un computer palmare che fosse prima di tutto funzionante, efficace ed in breve tempo anche sorprendentemente ricco di applicazioni e -per diretta conseguenza- di potenzialità.
Inutile dilungarsi; escludiamo alcuni rari telefoni di RIM e poi vedremo che dal 2007 l’industria della telefonia ha cominciato a produrre smartphone ispirandosi solo ed unicamente (tanto o poco) al telefono ideato a Cupertino, tanto che in quest’ottica c’è chi si spinge a dire che dal 2007 in avanti ogni telefono di fascia alta è concettualmente considerabile come un clone di iPhone.

Molto più eloquente di tante parole risulta anche questa immagine che mostra i lettori di mp3 di fascia alta prima e dopo la commercializzazione di iPod Touch. Non a caso il confronto usa due prodotti della Samsung, per evidenziare quale fosse lo stile sul quale puntava la casa coreana prima di iPod Touch e come, dopo la zampata di Jobs e compagni, vi sia stato un drastico cambiamento di rotta verso un design che ci sembra tutt’altro che sconosciuto.
Ma basta fare quattro passi in un qualsiasi centro commerciale per accorgersi che la quasi totalità dei lettori mp3 è palesemente ispirata al pari livello (per modo di dire! n.d.r.) del lettore mp3 di Apple, mentre sono praticamente scomparsi lettori che avevano tentato di proporre un design che si distaccava da quello dei vari modelli di iPod.

Il discorso dei tablet poi è un discorso a sé perché in questo caso pare difficile anche solo trovare qualcosa che possa rappresentare un “prima”; il Windows Tablet PC infatti, che vedete riportato nello screenshot, rappresenta una specie di ibrido comparso nel 2001 ma che già allora è apparso poco pratico, piuttosto ingombrante e scomodo ed è infatti rimasto un prodotto riservato ad una ristrettissima cerchia di utenti.
No, in effetti non si riesce ad identificare un “prima” per iPad; questo perchè il tablet di Apple ha creato con il suo lancio una categoria di computer completamente nuova, caratterizzata dall’assenza di una tastiera ma anche dall’asenza dello stilo; un computer in cui l’interazione tra la macchina e l’utente è mediata semplicemente dalle mani sul monitor nel più naturale dei gesti: toccare.
Una nuova categoria, dicevamo, anche perché indirizzata all’utilizzo di massa (pensiamo a come le fotografie, la musica, i filmati ed internet siano stati messi davanti alle comunque innumerevoli app professionali); una categoria verso la quale si sono lanciati con alterne fortune tutti i più importanti produttori di PC o smartphone presenti sul mercato.
E le recenti sentenze di tribunali anche europei stanno a dismostrare come talvolta dall’ispirazione si è passati anche al plagio vero e proprio.

E concludiamo questo nostro lungo cammino con un caso un po’ particolare, leggermente diverso dai precedenti; infatti, se per i casi che abbiamo già visto il ruolo di spartiacque rappresentato da Apple è difficilmente confutabile e -oseremmo dire, esponendoci alle vostre giuste critiche- sancito dalla storia, per la Apple TV questo non è ancora vero.
È del tutto evidente che il tempo dei videoregistratori è passato da quel dì, ma se fossimo produttori di lettori DVD o BlueRay non dormiremmo comunque sonni troppo tranquilli. In Italia certe esperienze non hanno ancora preso molto piede, ma la TV on-demand, intesa in senso lato come visione di spettacoli sul televisore scelti secondo il gusto e le necessità dell’utente e senza il supporto di un “lettore”, sembra possa rappresentare il futuro; pensiamo ai programmi on-demand offerti dalle piattaforme satellitare e digitale terrestre e poi a tutti i servizi di streaming (già nati od in procinto di nascere).
In questo contesto Apple ha evidentemente fatto già da molto tempo una scelta che stavolta si limita a guardare ad un futuro possibile, diremmo anzi probabile, ma non l’unico e soprattutto non ancora ben determinato e chiaro come in tutti i casi precedenti. La Apple TV era e rimane un prodotto di nicchia, ma anche grazie all’interazione con gli iDevices offerta da AirPlay potrebbe presto diventare uno standard presente nelle case di tutti se non addirittura direttamente inserito in un televisore (ma questo è un altro discorso ancora).

Insomma, in questi trent’anni abbondanti di innovazione e di idee (alcune geniali, altre sicuramente meno) Apple ha offerto un contributo enorme alla tecnologia ed al suo progresso, regalando (lo so, il termine stride un poco n.d.r.) frequenti lampi di creatività dei quali alla fine hanno beneficiato tutti, dai fan boys più convinti a coloro che “l’unica mela con cui hanno mai avuto a che fare si compra dal fruttivendolo”.
E a questo punto ci farebbe davvero piacere sentire le vostre opinioni nei commenti, anche solo per farci sapere che avete avuto (bontà vostra!) la pazienza e la costanza di leggere l’articolo fino alla fine.

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