Apple I, II, Lisa, Macintosh 128k e molti altri pezzi della storia dell’informatica in esposizione da ieri a Viterbo grazie a Medioera

“Respirare l’atmosfera pioneristica del passato per guardare al futuro”. Questo, in sostanza, potrebbe essere il motto dell’edizione di quest’anno di Medioera, il festival della cultura digitale in corso a Viterbo fino al 21 luglio. Ieri, infatti, si è aperta la manifestazione e, ovviamente, noi di SlideToMac eravamo presenti all’evento.

Situata nel quartiere medievale di San Pellegrino, periodo storico che ha dato vita alle invenzioni di Leonardo, la mostra sembra voler così ricongiungere i fili fra questo genio e quello di Steve Jobs regalando al pubblico un set naturale perfetto per immedesimarsi nel clima degli anni ’70 e ’80 del ‘900, il vero e proprio Medioevo dell’informatica. Non a caso, l’esposizione ha luogo in uno spazio molto ristretto, una sorta box senza particolari ornamenti che ricorda vagamente il garage da cui i due Steve iniziarono a scrivere pagine indelebili della storia dell’informatica, rivoluzionandola e migliorando la vita quotidiana di tutti noi.

Proprio da quel garage nel 1976 nacque il primo computer frutto del loro ingegno, vale a dire il mitico Apple I, uno dei trenta esemplari ancora in circolazione, perfettamente funzionante, del valore di circa 150mila euro, accompagnato per l’occasione da un documento recante la firma Steve Jobs.

L’Apple I è una leggenda per tutti gli appassionati di informatica non solo per la sua tiratura limitatissima (Steve Jobs e Steve Wozniak ne costruirono 200 esemplari con le loro mani di cui 150 furono ritirati) ma anche per le innovazioni tecnologiche che racchiude al suo interno, pur essendo una semplice scheda madre, come il microprocessore (MOS 6502), la memoria RAM da 4 KB e la possibilità di essere collegato a un monitor e a una tastiera.

Dallo “spoglio” Apple I si passa a solo un anno di distanza al suo degno successore, l’Apple II, racchiuso in un ben più elegante ed accattivante case in plastica. Si tratta, anche in questo caso, di qualcosa di straordinario: per la prima volta, infatti, Steve Jobs mette in mostra le sue spiccate doti di marketing, uscendo dai circuiti di promozione tradizionali pubblicizzando il suo prodotto su riviste e quotidiani a grande tiratura, di cui troverete una copia all’interno dell’esposizione, e lanciando uno slogan che ne faciliterà la diffusione anche grazie al lancio in concomitanza del lettore di floppy disk che permetteva agli utenti di poter portare comodamente i propri dati con loro in mobilità.

Il vero salto generazionale, però, doveva ancora avvenire. Apple I e II, infatti, erano ben lontani da quello che noi consideriamo un computer a tutti gli effetti: in quei dispositivi, solo per fare degli esempi, erano completamente assenti mouse, interfacce grafiche e le “finestre” normalmente presenti nei PC/Mac di casa nostra. Con l’introduzione di queste tecnologie, nel 1983 in un colpo di spugna Steve Jobs con l’Apple Lisa, computer che prende il nome da sua figlia, fa letteralmente invecchiare i prodotti delle aziende concorrenti di almeno dieci anni. Ciononostante, il progetto fu troppo ambizioso ed eccessivamente costoso arrivando alla cifra record di 10mila dollari, particolare non irrilevante che fece naufragare il Lisa in un clamoroso flop commerciale.

Il successo, tuttavia, era stato solo rimandato di circa un anno. Steve capì l’errore commesso con Lisa lanciando sul mercato il Macintosh 128k, un device più economico e alla portata di tutti dal costo di 2500 dollari, pur senza tralasciare la proverbiale cura per il design e per i particolari tipici di Apple quali l’eliminazione degli elementi superflui, un sistema operativo all’avanguardia che sarà il capostipite dei moderni Mac ed un’elevata potenza di elaborazione. Il tutto contenuto in un’elegante scocca “all-in-one” con pochi fili di collegamento ben marcati in modo da non far confondere l’utente finale e dotato di mouse e di 128 KB di memoria RAM, quantità che oggi potrà sembrare ridicola ma all’epoca risultava essere il doppio rispetto alla concorrenza.

Passando in rassegna i prodotti non Apple abbiamo trovato lo storico Altair, il protocomputer che nel 1975 diede il via alla rivoluzione informatica, grazie al prezzo contenuto e alla possibilità di programmare. Proprio dall’Altair iniziò la fortuna di Bill Gates che con Paul Allen scrisse il programma BASIC fondando così la Microsoft. L’Altair, tuttavia, era una macchina molto limitata mancando di elementi fondamentali quali tastiera e monitor.

Nel 1977 è la volta del PET 2001 della Commodore che inaugura la cosiddetta seconda generazione dell’informatica personale con macchine già assemblate, contenute in un case dal design seducente e in grado di far girare software dedicati al lavoro, al gioco e allo svago. I computer così pensati erano tutti collegabili a monitor o a semplici televisori e, sarà proprio questa caratteristica a farli entrare nelle case e negli uffici di milioni di persone.

A questo successo ne seguirà un altro di ancora più vaste dimensioni per la Commodore, vale a dire quello del celeberrimo C64, semplicemente il modello di PC più venduto della storia con ben 2 milioni di pezzi acquistati all’anno. Uscito nel 1982, è il simbolo degli anni Ottanta, si pensa infatti che tutti i ragazzi di quella generazione abbiano avuto almeno una volta nelle loro mani un C64 per giocare o programmare. Non è però solamente il basso costo a decretarne il successo ma anche la leggerezza e soprattutto la distribuzione capillare. Era possibile, infatti, trovarlo indistintamente in magazzini, discount, supermercati o negozi di giocattoli.

Nello stesso anno di nascita del C64 viene commercializzata anche la prima macchina europea in grado di competere con i prodotti Apple e Commodore. Stiamo parlando del Sinclair ZX Spectrum, il quale fa dei suoi punti di forza il basso costo, la leggerezza e la compattezza, pur mantenendo prestazioni in linea con le dirette concorrenti essendo in grado di elaborare grafica a colori e suoni, oltre a consentire di giocare e programmare in BASIC. Questi ingredienti assieme all’uso di periferiche originali come l’unità ZX Microdrive, un sistema di memorizzazione dati su nastro magnetico, derivato dal sistema stereo 8 in voga negli anni Ottanta, porteranno la Sinclair a vendere milioni di esemplari di questo modello in tutta Europa.

Facendo un passo indietro di un anno circa troviamo invece il primo PC “serio” IBM, antenato degli attuali computer Windows. Si tratta di una partnership importante che ha fatto la storia dell’informatica, in quanto portò alla ribalta quello che, sino ad allora, era considerato un mondo di nicchia, marginale, insomma un qualcosa da prendere poco sul serio. Era il 12 agosto 1981 quando IBM decise che era il momento di scendere in campo in un mercato che fino a quel momento avevano del tutto disdegnato. Quel giorno l’azienda statunitense presentò il computer noto ai più con il nome di PC IBM. Questo dispositivo era una macchina con architettura basata su microprocessore Intel che si poneva nello stesso segmento di mercato dei computer Macintosh. In questa lotta chi sarà a trarne maggiori vantaggi nella disputa Apple vs IBM sarà la piccola Microsoft che si assicurò un sostanzioso contratto per la fornitura del sistema operativo MS-DOS dato in licenza alla stessa IBM. L’IBM grazie all’affermazione del marchio sul territorio e alla sua organizzatissima rete commerciale riuscì a vendere 200mila unità del suo prodotto a cui seguì nel 1984 il 5155, il suo primo portatile (si fa per dire, visti i 14 kg di peso!), dotato di monitor, di due lettori di floppy disk e di una tastiera integrata.

Si tratta di una mostra, a nostro parere, di assoluto valore e interesse che merita di essere visitata da tutti gli appassionati che si trovano a Viterbo e dintorni e che vi farà immergere in un’era in cui la creazione di questi dispositivi aveva un sapore rivoluzionario, dove un moderno Davide, impersonato da Steve Jobs, è riuscito a battere i giganti di IBM, rappresentato come un Grande Fratello nella famosa pubblicità del Macintosh diretta da Ridley Scott nel 1984.

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