La battaglia scatenata dai sostenitori del copyright è iniziata da tempo e, tra sentenze attese e strumenti pseudo legali da mettere in atto, qualcuno comincia a mettere mano ai numeri dichiarati finora dai vari studi di settore sui danni derivati dalla pirateria informatica. Tra centinaia di migliaia di posti di lavoro persi e miliardi di dollari non incassati, sembra proprio che la verità sia un’altra, ovvero non esistono studi reali e numeri veritieri della situazione reale. Numeri talmente approssimativi che si comincia a dubitare un po’ di tutto.
Sembra quasi che l’andazzo da imporre per il rispetto delle leggi sui diritti di copia, renderà impossibile anche il trasporto di software da un computer vecchio ad uno nuovo. Perdere la chiave della licenza renderebbe impossibile l’uso di quel software, anche quando regolarmente acquistato. E’ quanto cominciano a sostenere le aziende più agguerrite, con in testa fra tutti la Microsoft.
Del resto il danno dichiarato è di 59 miliardi di dollari. Qualcuno azzarda addirittura danni conseguenti per ben 19 milioni di posti di lavoro nella sola America. Niente da dire quindi, sono numeri da brividi che obbligano all’azione.
Un’azienda non può permettersi un danno così grande, e un Governo nemmeno così troppi posti di lavoro. Ed ecco la grande corsa per riparare il danno… teorico.
59 miliardi di $ ? Ma siamo sicuri ? Come si arriva a calcolare questa cifra ?
Già nel XIX secolo Mark Twain scriveva: “Ci sono bugiardi, dannati bugiardi e gli esperti di statistica”. E figuriamoci se lo denunciava nel ‘800, cosa avrebbe potuto scrivere oggi. Sta di fatto che nessun giornalista, seppur contrario in principio ad una legge troppo restrittiva, potrebbe mai scrivere contro il principio sacro santo dei diritti intellettuali di proprietà, tanto più quando ci sono danni derivati e posti di lavoro persi. Insomma, una grande macchina mediatica preparata molto bene, per giustificare un’offensiva senza confini giuridici.
Quindi tutti contro la pirateria, tutti a favore del copyright, ma nessuno che effettivamente mette mano alle cifre reali del danno.
Il New York Times, il primo quotidiano al mondo, ha pubblicato una lettera-articolo di Mark Elliot, responsabile della Camera di Commercio degli Stati Uniti: “I siti web che rubano all’America prodotti innovativi e creativi ricevono 53 miliardi di visite all’anno e mettono in pericolo il posto di lavoro di 19 milioni di americani”.
Quest’articolo però non ha riportato nessuna fonte e il modo in cui si sono determinati questi numeri. Il commento del giornalista David Carr era proprio critico sul metodo approssimativo e forse troppo gonfiato nel riferire le cifre. Insomma cifre senza fondamento.
Robert Holleyman, CEO di Business Software, ha dichiarato: “Sono quasi 59 i miliardi di dollari rubati nel 2010 all’industria del software, con un tasso di crescita fuori controllo”, riportando i risultati di uno studio non dichiarato.
La Microsoft, prima sostenitrice della coalizione anti pirateria (versa infatti per “la causa” diversi milioni di dollari annui), ha un fatturato di 62 miliardi di dollari, praticamente pari al danno presunto provocato dai ladri informatici. Redmond ha versato 7.34 milioni di dollari a una Commissione del Senato per sostenere le proprie ragioni di legalità. Nei recenti dibattiti al Congresso, i sostenitori della legge anti pirateria sono arrivati a quantificare in 200-250 i miliardi di dollari rubati all’industria americana, e in 750 mila i posti di lavoro persi immediatamente.
In pratica un danno di 800 dollari per ogni americano, neonati e moribondi compresi. In pratica il doppio dei posti di lavoro dell’intera industria cinematografica americana. Numeri che cominciano a far sospettare sulla loro reale veridicità.
Uno studio commissionato a Wallace Walrod da parte di Microsoft, ha quantificato in 1.1 miliardi di dollari il danno ai salari dei lavoratori californiani nel 2011, e di 1.6 i miliardi di dollari persi nell’indotto, in 20 mila i posti di lavoro bruciati, e in quasi 700 milioni di dollari le mancate entrate nelle casse del Governo della California. Il danno avrebbe reso possibile evitare nuove tasse per costruire tutte le infrastrutture necessarie. Del resto ridurre del 10% in due anni il danno della pirateria avrebbe permesso di raccogliere 5.7 miliardi di dollari alle imprese locali e 880 milioni di dollari nelle casse governative di Sacramento. Tutti numeri non supportati da nessuna ricerca concreta, ma solo da approssimazioni che producono un rigonfiamento dei numeri. Più si spara in alto, più si ottiene l’effetto di muoversi verso i propri interessi.
Tra numeri dedotti, indotti, presunti, possibili, impossibili, sperati, tra amici del Congresso (lautamente pagati con donazioni), analisti esperti che non dichiarano come si arriva ai risultati finali, il caos comincia a regnare sovrano, col risultato di ottenere leggi ad hoc direttamente dettate dai presunti danneggiati. Del resto di fronte a una situazione così drammatica, è necessaria una risposta altrettanto ferma e decisa. Tutti quei soldi (teorici) devono essere recuperati. La stessa crisi globale lo impone.
Il Cato Institute ha messo mano a questi studi, e per prima cosa si è accorto che il dato sui 750 mila posti di lavoro persi è il risultato di uno studio del 1986 (sì di 26 anni fa…) del segretario del Commercio che stimava la contraffazione negli Stati Uniti, con un danno dai 130 mila ai 750 mila posti di lavoro. Insomma, quel dato è stato trasportato, rimandato, recuperato, ripetuto, perdendo la fonte e il contesto in cui è stato calcolato. Si è partiti da un dato che girava nella memoria di qualcuno per certificare la situazione odierna. Nel 2010 la Federal General Accounting Office ha dichiarato quanto fosse ingiustificata quella cifra e come fosse sbagliata la metodologia per risalire all’origine dei dati, quelli reali.
Il fatto è, secondo il Cato Institue, che per quanto si parta sempre da una base di dati veritiera, si arriva poi a condirla a piacimento, allontanandosi di fatto, e di molto, dalla realtà. Del resto lo scopo è molto chiaro. Il fattore unico di queste statistiche pare essere il semplice “moltiplicatore di comodo”, grazie al quale si possono ingigantire e drammatizzare le vere dimensioni del fenomeno pirateria. Tanto bastano dei dati sparati in grande stile per creare l’allarme ed ottenere quello che si vuole, con una legge ad hoc, appunto.
Tutte queste cifre vengono, quindi, regolarmente gonfiate per giustificare una normativa terribile come quella della SOPA, che autorizza società private ad esigere ed operare con funzioni legalizzate. E dopo la Microsoft, l’altro grande sostenitore di questa politica è la Adobe Systems.
Nessuno degli autori di queste fantomatiche statistiche risponde spiegando il modo in cui arrivano a descrivere con numeri precisi il fenomeno. Eppure ogni statistica da rispettare deve essere sempre introdotta dalla spiegazione del campione utilizzato per estrarre i dati.
Come si arriva a tutti questi dati ? Ebbene, pare che nessuno di questi autori di cifre apocalittiche voglia rispondere.
La pirateria è sicuramente un fenomeno illegale e da contenere. Ma la storia insegna che le misure eccessivamente repressive non producono mai nessun risultato reale. A mio avviso, per battere la pirateria bisogna seguire la strada scelta da Apple che, col suo Store, vende tranquillamente e ufficialmente miliardi di canzoni e applicazioni a prezzi bassi. Solo abbattendo i prezzi e rinunciando a guadagni troppo facili e troppo miliardari si può battere la pirateria.
Ma forse è un risultato che in realtà non interessa raggiungere veramente, visto che le cifre reali sono ben più basse. Meglio allora puntare a una legge che autorizzi i danneggiati a compiere e decidere azioni private per conto e nel nome della Legge. Con l’effetto di obbligare milioni di utenti ad acquistare le licenze che si vuole, quando si vuole, forti comunque di una legge che li autorizza ad agire in quel modo.
Qualche dubbio in proposito l’avrei, visto come si è mosso immediatamente (e con quanta efficienza) anche il nostro Parlamento (come se non avesse altro di più urgente di cui occuparsi).
Fonte: InfoWorld