Ereditare il timone di Apple da Steve Jobs non è sicuramente solo un colpo di fortuna e di bravura. Eppoi Jobs, che calcolava tutto tutto, non aveva scelto a caso Mr. Cook. Anzi lo presentò lui stesso al mondo come il suo uomo di fiducia. Poi la morte di Mr. Apple e l’azienda si ritrova col nuovo CEO che deve subire il confronto continuo col suo predecessore, anche se il sostegno dei fedelissimi della Mela non viene a mancare nonostante la scomparsa di Jobs (così dicono le ricerche di mercato). E’ anche vero che la presenza di Jobs si fa sentire molto da lassù, essendo scomparso da pochi mesi e avendo di sicuro visionato anni prima i progetti futuri (quindi odierni) di Cupertino. Apple ha presentato lunedì i suoi prodotti nuovi con la guida di Tim Cook, il quale cerca così di puntare sul futuro, portando cambiamenti con il suo stile e le sue idee, nella speranza di riuscire a traghettare Apple nella nuova era post Steve Jobs. Missione difficile per chiunque.
Lo scorso febbraio un gruppo di una quindicina di investitori “importanti” ha fatto visita alla Apple, coordinati da un analista di Citibank. Ad iniziare la conferenza per gli ospiti è stato Peter Oppenheimer, responsabile finanziario di Apple, che ha parlato per 45 minuti. Gli investitori hanno raccontato anche l’originalità dell’ospitalità aziendale della Mela: una delle tante sale conferenza, di quelle sempre impegnate da noiose presentazioni, con a disposizione ben tre biscottini miseri e coca cola, rigorosamente versione diet. Quello che ha scosso gli ospiti non è stato certamente lo spartano trattamento riservato loro, ma piuttosto vedere entrare a conferenza iniziata Tim Cook e scegliere, senza disturbare, uno dei posti nelle ultime file. Cook ha ascoltato la relazione di Oppenheimer, non ha letto le email dal suo iPhone e non ha nemmeno fatto nessuna interruzione. Partecipava attivamente.
E’ quindi toccato al CEO prendere la parola e con totale controllo ha risposto a qualsiasi domanda o dubbio di questi importanti clienti. Grande competenza, totale disponibilità e sicurezza nel suo ruolo: è così che ha riassunto la sua opinione su Cook uno di questi investitori. Tim Cook è andato anche oltre, parlando degli altri, soprattutto quelli che Apple stima più di tutti: Facebook e Amazon. Con Facebook, ha riferito Cook, potrebbero aprirsi delle collaborazioni strette, mentre Amazon è un tipo di concorrente diverso, con punti di forza in comune con Apple. Ha aggiunto che Amazon avrà un grande successo con il lettore Kindle, prodotto davvero competitivo dell’iPad.
L’aspetto più notevole di Cook è stato quello di ricevere in prima persona questi ospiti, cosa che Jobs avrebbe fatto difficilmente (era troppo ostinato da convincere). E questo è stato notato ed apprezzato da tutti i presenti. Quasi fosse diventato il marchio identificativo del CEO Apple. Gli analisti interpretano questo cambio di passo come un fatto importante, perché ora gli investitori sanno di poter parlare direttamente con il comandate della nave. Tim Cook aveva anni prima, come chef operating officer, il ruolo di mantenere i rapporti all’esterno, ruolo che quindi continua a mantenere anche nella poltrona più importante.
Quindi un rapporto diretto coi signori di Wall Street (proprio come farebbe un Governo), dividendi agli azionisti (Jobs era contrario), regali ai dipendenti, un programma di solidarietà: tutte cose nuove in quei di Cupertino, veri e propri cambiamenti nei rapporti con tutti. Cook ha 14 anni di esperienza nella Mela morsicata e anche questo è una garanzia del suo assicurare tutti sul modo di andare avanti. Lo stile rimane quello di sempre, arricchito ora da una persona che non è Steve Jobs, la cui imitazione sarebbe solo dannosa, per non dire quanto impossibile.
Apple è ora più aperta, più azienda “normale” e non più così speciale. In un recente pranzo di amici, tra un ex dipendente e un ingegnere tuttora Apple, l’atteggiamento del dipendente è stato vissuto come qualcosa di veramente strano dall’ex impiegato: arrivati al momento del caffè l’ex dipendente si aspettava che il tempo del suo amico fosse scaduto e alla disponibilità, invece, di bere quel caffè è seguito lo sconcerto dell’ex dipendente: “si vede che ormai Apple sta diventando come le altre aziende e la gente ha pure il tempo per respirare”. Di sicuro non si trattava di un complimento.
Tim Cook sta quasi seguendo una scaletta delle operazioni da fare, recuperando quello che il suo predecessore aveva rifiutato. Sempre nel rispetto dei principi (di successo) di Steve Jobs, ma con la necessità di non rimanere fermi e di proseguire rinnovando.
Tim Cook non vuole lavorare nella logica (banale e sbagliata) che troppi si aspettano: “cosa farebbe Steve ?” Ma semmai in quella di Steve: “cosa è meglio per Apple ?”.
I capitalisti di Wall Street ragionano solo coi miliardi: il valore della Mela all’arrivo di Cook era 140 miliardi di dollari, ben oltre la Exxon Mobil. In questi mesi sotto la guida di Cook sono stati venduti 89 milioni di iPhone e 38 milioni di iPad, ben oltre le più rosee aspettative dei veggenti di Wall Street. “Fenomenale!” è stato il giudizio di Bill Shope (Goldman Sachs) sulla gestione del CEO Apple, soprattutto se si pensa alle “poche” novità introdotte con il 4s e l’iPad 3: di fatto aggiornamenti dei modelli precedenti.
Piccole novità che delineano il modo di lavorare di Cook, arrivato in Apple nel 1998 proprio per aggiustare quello che funzionava male nei processi di lavorazione dell’azienda californiana, arrivando così a definire il modo di lavorare con i fornitori cinesi. Quando il New York Times ha raccontato della dura realtà lavorativa dei dipendenti Foxconn (la cui colpa però dipende da leggi e governi altrui), Tim Cook è intervenuto subito imponendo cambiamenti all’azienda taiwanese e visitando lui stesso le fabbriche di produzione. Apple ha quindi aderito alla Fair Labor Association, segno di una scelta chiara delle politiche sindacali.
Apple si è preparata al 2012 con investimenti fortissimi (ha un mare di soldi da spendere), migliorando ulteriormente l’efficienza produttiva e la catena di approvvigionamento che Cook aveva intuito essere fondamentale nei confronti della concorrenza tanti anni prima. Si parla di oltre 7 miliardi di investimenti per macchinari di nuova generazione.
Non tutto però sembra procedere così perfettamente.
Anche la struttura organizzativa, ad esempio, sta cambiando, diventando sempre più classica come quella degli altri. Se prima c’era un responsabile di un progetto, adesso quel responsabile coordina più responsabili su più progetti. Non sarà un caso se a pochi giorni dalla morte di Jobs, Cook cambiò alcuni responsabili rimpiazzandoli probabilmente con uomini di fiducia, in una logica dove non sempre è l’efficienza a prevalere, ma talvolta è il consolidamento di certi poteri ed equilibri aziendali a prevalere su tutto il resto (da noi in Italia è una regola).
E se la struttura cambia, anche l’efficienza e la qualità di certi prodotti forse ne hanno risentito. Non si può non pensare a Siri, rimasto troppo tempo in versione Beta e in poche lingue e, pare, appoggiato su server non sempre al massimo delle prestazioni. Chissà cosa avrebbe fatto Steve con Siri in queste condizioni? A questo punto nessuno lo può sapere, ma si tratta di decidere se Siri va potenziato definitamente oppure rimosso. E di mesi ne sono passati un po’ troppi.
Insomma, la vita continua ed “Apple rimane la Apple” secondo Cook: se non era facile per Jobs gestire l’azienda (del resto l’ha pure persa) non lo può essere per nessuno, Tim Cook compreso.
A metà aprile Apple ha acquistato il residenziale Carmel Valley Ranch, un hotel per le riunioni segretissime di 100 top manager, scelti direttamente dal CEO e non dal loro ruolo specifico, in funzione delle loro capacità contributive reali. E pare che nel conclave si discuta dei prossimi prodotti, dei progetti dei prossimi anni. Pare che a queste riunioni si debba partecipare con tono gioviale, lasciando al passato le riunioni pesantissime presiedute da un cupo Steve Jobs. Le riunioni terminano sempre con grande “rumore” di voci e quando questi 100 manager di fiducia del CEO tornano, hanno l’aria estasiata per aver visto i futuri progetti e anche quelli ormai prossimi. Un dirigente di lunga data è stato allontanato in gran fretta dalle riunioni top secret del club dei 100 per avere trapelato piccolissime indiscrezioni ai curiosi di turni.
Cook mantiene i suoi piedi a terra, appare come una persona normale e non certo come il direttore numero 1 di Apple. Ricorda a tutti i suoi passati in una cartiera dell’Alabama o in una azienda di alluminio della Virginia. Con Jobs la musica era diversa per tutti. Le riunioni erano continue e i licenziamenti venivano comunicati direttamente da Jobs agli interessati anche negli ascensori, luogo di vero terrore un tempo. Tutti i manager salivano le scale a piedi…
Tim Cook ha espresso pubblicamente la volontà di porre termine alla guerra dei brevetti (una crociata per Jobs), soprattutto con Samsung, fornitore importante della Mela stessa. Il CEO ha ammesso di non poter fare a meno della sua Apple TV e del suo iPad. Appena possibile preferisce pranzare da solo quando in ferie, ma se lavora si siede sempre casualmente tra i suoi dipendenti in mensa. Cook è sempre disponibile alle interviste, mantenendo però una certa distanza di sicurezza dai mezzi di informazione.
“Apple è un luogo magico”, secondo Cook, “dove i dipendenti fanno grandi cose. Bisogna continuare a mantenere la concentrazione su pochi prodotti fatti bene, piuttosto che su troppi”. Come usava ripetere Jobs.
Steve Jobs, però, alla Apple è stato amato, venerato e temuto. Cook è un capo esigente che non fa paura a nessuno. E’ ben rispettato, ma nessuno lo adora.
Apple è entrata nella sua seconda vita senza il suo visionario fondatore, fase nella quale necessita della guida di un bravo amministratore delegato, ovvero un comune mortale.
Tim Cook prova a lasciare così la sua impronta su Apple, pienamente cosciente di non entrare nella storia, perché quella appartiene solamente a Steve.
Fonte: CNN