Kuo: MacBook Pro OLED con touch screen nel 2026–2027

Secondo nuove indiscrezioni, il primo MacBook Pro con display OLED avrà un pannello touch “on-cell”.

Secondo Ming-Chi Kuo, il primo MacBook Pro con schermo OLED non sarebbe solo un salto di qualità sul fronte del pannello, ma introdurrebbe anche un touch screen integrato.

La tecnologia di riferimento è la on-cell touch, cioè i sensori capacitivi depositati direttamente sul “cell” del display, senza un ulteriore strato dedicato. È un dettaglio che conta, perché riduce spessore e riflessi, migliora la trasmittanza e limita l’effetto parallasse tra dito e pixel. In altre parole, non il classico “vetro touch” appoggiato sopra, ma un pannello nato per essere toccato.

Il timing non è banale. Negli ultimi mesi si è parlato di un refresh con M5 all’inizio del 2026 e di un MacBook Pro OLED tra la fine del 2026 e l’inizio del 2027, con possibile salto ai chip M6. La sequenza ricorderebbe quella del 2023, quando Apple aggiornò due volte la linea nello stesso anno con M2 Pro/Max a gennaio e M3 a ottobre.

Lo scenario suggerisce una transizione in due atti: prima si consolida l’architettura, poi si cambia il display e, con esso, parte della grammatica d’uso. Sul fronte fornitura, più report puntano su Samsung per i pannelli OLED di prima generazione. In parallelo, circola l’ipotesi di un MacBook più economico senza touch in prima battuta e con supporto tattile solo nella seconda generazione attesa più avanti: una strategia che porterebbe il tocco dai modelli di punta verso il basso quando i volumi lo permetteranno.

La domanda vera non è “se” Apple possa fare un Mac touch, ma come intenda farlo. Il rischio di qualunque portatile con schermo tattile è l’ergonomia: il famigerato “gorilla arm” quando si allunga il braccio verso un pannello verticale.

Qui la chiave è non sostituire trackpad e tastiera, bensì aggiungere un canale di interazione per i gesti che al tocco risultano più naturali: pinch, rotazioni, drag su timeline, ritocchi locali in foto e video, firma di documenti, disegno veloce, selezioni dirette in app creative. Con un OLED di ultima generazione, magari LTPO, il sistema può muoversi tra refresh molto bassi quando l’immagine è statica e 120 Hz quando serve fluidità, contenendo i consumi e mantenendo la reattività che ci si aspetta da un device professionale.

Inoltre, macOS dovrà adeguarsi senza snaturarsi. Oggi l’interfaccia nasce per puntatore e precisione sub-pixel; domani potrebbe adattare dinamicamente le aree attive quando rileva l’uso del dito, mantenere la finezza del cursore per la micro-selezione e aprire al tocco quando conviene. Servirà una palm rejection impeccabile per evitare tocchi involontari durante la digitazione e, lato pannello, accortezze anti burn-in per una piattaforma che ospita più elementi statici rispetto a iPadOS.

Il design, stando alle voci, ne approfitterà per assottigliarsi e ridurre il notch. È la conseguenza diretta della tecnologia on-cell e della spinta verso cornici più equilibrate. Se Apple sceglierà di legare il touch all’OLED, lo farà per una ragione: offrire un salto qualitativo percepibile a colpo d’occhio e al primo gesto. Non un vezzo da scheda tecnica, ma un cambio di sensazione sotto le dita.

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